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SINDACATO

 

APPUNTI INTORNO AI MOVIMENTI DI MASSA

di Giulio Angeli


Introduzione
I movimenti di massa si costituiscono su tematiche ideali e su bisogni concreti e contingenti i quali, come la pace, l'ecologia, i diritti civili finiscono per coinvolgere schiere enormi di individui provenienti da classi sociali diverse, poiché l'esigenza di vivere in pace ed in un ambiente sano, è condivisa dalla stragrande maggioranza delle popolazioni. La fase espansiva dei movimenti di massa, quando cioè da minoranza divengono fenomeni consistenti capaci di coinvolgere strati sociali diversificati, costituisce un fenomeno tipico delle società a capitalismo maturo, laddove il benessere è più diffuso che altrove. Contemporaneamente all’interno della sinistra si sono andate consolidando posizioni  secondo le quali la contraddizione non si manifesterebbe più tra capitale e lavoro, bensì tra "devastazione" ed "esigenze umane". Secondo questa impostazione la classe lavoratrice, ormai, troppo beneficerebbe dell'attuale modello di sviluppo e sarebbe in esso troppo integrata per continuare a rappresentare interessi universali e, quindi, un valido interlocutore per il superamento del sistema capitalistico. In questo contesto la classe lavoratrice dei paesi ricchi trarrebbe beneficio, al pari dei capitalisti, dallo sfruttamento delle nazioni più povere. Lo scontro di classe si sarebbe quindi spostato tra aree ricche e povere, cioè tra nord e sud del mondo. La dissoluzione della contraddizione capitale-lavoro, nonché la fine del concetto di classe sono, in ogni fase storica, argomenti cari alla borghesia. In definitiva, si vuol sostenere l'inconsistenza di ogni opposizione al capitalismo, ritenuto un modello eterno ed in grado di riprodursi illimitatamente:, ”il migliore dei mondi possibile”, e queste concezioni hanno contaminando la sinistra non solo riformista, e anche lo stesso movimento operaio.
Sull’integrazione della classe operaia
A ben guardare la classe lavoratrice è sempre stata "integrata". Lo era ieri all'epoca del capitalismo coloniale (si ricordi l'aspro dibattito che caratterizzò la II Internazionale agli inizi del secolo nel quale si fronteggiarono i sostenitori e gli avversari del colonialismo), lo è oggi nell'epoca del capitalismo finanziario multinazionale. Gli assertori di sinistra dell'integrazione della classe lavoratrice nell’attuale modello di produzione ritengono antagonistici al capitalismo solo coloro che si oppongono manifestatamene ad esso. In questa prospettiva sarebbe quindi il grado di opposizione al sistema che definisce le caratteristiche anticapitalistiche di strati sociali più o meno trasversali, e non la loro collocazione nel sistema di produzione. Una classe lavoratrice battuta, umiliata e dispersa dalla terziarizzazione dei processi produttivi, che non è nel medio periodo in grado di lottare efficacemente contro il sistema capitalistico è destinata, quindi, a perdere irrimediabilmente le proprie caratteristiche "rivoluzionarie" che passerebbero, così, a nuovi soggetti. Questo è il ragionamento che consente di transitare, con estrema spregiudicatezza dal femminismo al giovanilismo, dall'ecologismo, al terzomondismo, al pacifismo, scambiando fenomeni particolari benché vasti di fasi determinate che, in quanto tali, sono destinate a passare, a integrarsi e a non generalizzarsi tra il proletariato mondiale, sia pure esprimendo caratteristiche assimilabili alle forme universali della lotta di classe. In realtà l'assetto capitalistico mondiale non può essere compresso in una riduttiva collocazione geografica (nord ricco-sud povero) secondo la predisposizione corrente. Tale divisione è solo suggestiva e non risponde assolutamente alla reale dinamica dei fenomeni né, tanto meno, al loro sviluppo storico.
L’attuale ciclo capitalistico mondiale è, viceversa, caratterizzato da due tendenze complementari:
a) la prima risiede nei processi di concentrazione ai quali fanno riscontro vastissimi fenomeni di decentramento produttivo su scala mondiale. A questo premessa consegue la contraddizione tra l’accrescersi delle caratteristiche sociali della produzione, che in tutto il mondo mette in relazione la ricchezza prodotta da centinaia di milioni di individui con la loro forza lavoro, intelligenza, cultura, e la finalizzazione privata del profitto a cui questa ricchezza è destinata.
            b) la seconda risiede nella sconfitta di ogni opposizione e consapevolezza di classe, e nel progressivo indebolimento delle organizzazioni sindacali riformiste non compensato, almeno in Italia, da uno sviluppo del sindacalismo extraconfederale che, dimostra, invece, tutta la sua inefficacia. Alla crisi del riformismo non segue cioè alcuna radicalizzazione generalizzata e condivisa da un consistente schieramento di classe, né alcuna codificazione organizzativa, bensì la perdita di egemonia dei tradizionali settori operai aggrediti e dispersi dalla crisi di ristrutturazione e dalla polverizzazione sociale.  
Il sistema di produzione
Giova al riguardo sottolineare, poiché questa verità è troppo spesso omessa, che il sistema di produzione capitalistico si sviluppa non già in base ai suoi aspetti giuridici e formali, ma bensì in base alle leggi interne che ne regolano lo sviluppo, e che si basano sullo sfruttamento della forza lavoro manuale e intellettuale sull'estrazione del profitto e sulla sua accumulazione. Sarebbe però erroneo ritenere il capitalismo come un sistema organico, omogeneo e privo di contraddizioni. Così come afferma la teoria marxiana in alcune sue argomentazioni di maggiore attualità, lo sviluppo del capitalismo non è armonico, né tanto meno può essere ritenuto pianificabile proprio perché è "diseguale" dovendo, cioè, confrontarsi con assetti produttivi, sociali, culturali e di classe, che variano al variare delle aree geografiche in una medesima fase storica. Al riguardo Marx definisce la "struttura" economica come l'insieme dei rapporti di produzione storicamente determinati. Appartengono invece alla "sovrastruttura", o ad essa devono essere ricondotte, tutte quelle forme che gli esseri umani realizzano con la loro elaborazione, siano esse di natura artistica, giuridica, filosofica, religiosa, ecc. Al riguardo, i "marxismi" delle varie scuole, ivi compresa quella leninista e stalinista, hanno stravolto questi semplici strumenti di indagine, attribuendo alla sovrastruttura un ruolo subordinato e, talvolta, globalmente futile, e già Bakunin ammonì, con parole di mirabile chiarezza ed onestà, circa l'insorgere di simili pericolosissime tendenze.
Le aree forti e quelle più deboli, devono quindi essere ricondotte alle dinamiche internazionali dei rapporti di produzione, e non analizzate in astratto sulla base di argomentazioni geografiche e discorsive. L’assetto economico e sociale presente in tali aree si configura quindi come una fase diversificata dello sviluppo capitalistico; ciò dipende, oltre dai già visti fattori (storia, cultura, assetti istituzionali ecc.), anche da questioni "strutturali" (composizione organica del capitale, organizzazione del lavoro, conflitto di classe, presenza di materie prime e di infrastrutture, ecc…), fattori questi che hanno implicazioni sovranazionali; appare allora evidente che alla internazionalizzazione del capitale segua un processo di tendenziale internazionalizzazione del proletariato, poiché sono i rapporti di produzione a costituire ed a modificare le classi sociali e non i singoli confini nazionali e gli assetti giuridici e formali di un determinato paese, anche se questi aspetti influenzano l'evoluzione della struttura di classe e dei processi produttivi e, quindi, dell’intera dimensione complessiva, quantitativa e qualitativa, del capitalismo in una fase e in un’area geografica determinate.
Imperialismo e capitalismo di stato
La penetrazione imperialista si realizza (e si è realizzata), laddove le suddette caratteristiche strutturali e sovrastrutturali l’hanno resa e la rendono possibile: un paese diviene obiettivo dell’imperialismo non solo perché è appetibile, ma esso è vulnerabile soprattutto perché la sua economia è storicamente decaduta e, quindi, priva di difese. Ciò si è verificato nel caso dell'Africa, Asia ed America Meridionale, laddove fiorirono un tempo civiltà floridissime, le quali decadendo lasciarono in eredità economie a livelli di sussistenza, a tal punto indebolite da divenire preda del colonialismo prima e dell’imperialismo poi. A queste economia deboli si andò  affiancando il capitalismo dei monopoli estrattivi e multinazionali. In tali paesi il capitalismo doveva trovare alcuni alleati, che individuò nelle borghesie nazionali disgregate e decadute. Tali borghesie si rafforzarono in virtù dell'affluenza dei capitali stranieri, giungendo a ridisegnare, all'interno delle rispettive nazioni o aree di influenza, nuovi assetti produttivi capitalistici, assieme al loro ruolo egemone e a quello delle nuove classi subalterne.  Questo per spiegare che le borghesie nazionali non sono necessariamente oppresse dall’imperialismo, ma creano sottosviluppo , prosperando in funzione dell’imperialismo medesimo, ricacciando nella miseria il giovane proletariato dei paesi arretrati del quale continuano a sfruttare brutalmente la forza lavoro. La debolezza delle borghesie nazionali non consente, in numerosi casi, di superare la fase precapitalistica degli assetti produttivi. In altri casi, laddove le circostanze lo consentono, queste borghesie nazionali hanno teso, e tendono, ad assumere un ruolo autonomo dall’imperialismo entrando così, ai vari livelli, in contrasto con esso e con i suoi alleati: l'esempio dell'Irak di S.H. è al riguardo emblematico.
La rivoluzione socialista, così come si è affermata nei paesi arretrati (Russia, Cina, Cuba, Vietnam, Cambogia, ecc.), o in quei sistemi economici decaduti o ridotti alla pura sussistenza (il dramma dell’Africa),  non poteva che riuscire a socializzare la miseria, regredendo naturalmente verso forme più o meno evolute di capitalismo di stato, che nel corso di alcuni decenni hanno saputo rivelare straordinari processi di accumulazione (vedi il caso della Cina). Lo sviluppo delle forze produttive in quei paesi conduce inevitabilmente all'autarchia e alla costruzione di uno stato autoritario e poliziesco, volto a garantire l'accumulazione capitalistica accelerata, nonché la repressione della lotta di classe e di ogni opposizione sociale. Lo sviluppo del sistema di produzione capitalistico non può quindi essere schematizzato nella formula semplificatoria "nord ricco e predatore, sud povero e sfruttato".
Lo sviluppo diseguale del sistema capitalistico
Nei paesi cosiddetti poveri, abbiamo, in realtà, diverse fasi di sviluppo che corrispondono alla concentrazione del capitale, allo sviluppo dei mezzi si produzione, alla concentrazione della forza lavoro ed alla presenza più o meno sviluppata di lavoratori salariati. Anche in questi paesi si verificano, con le naturali diversificazioni, le contraddizioni tipiche dei sistemi capitalistici più avanzati, poiché nonostante il basso Prodotto Interno Lordo (PIL), la scarsa produttività del lavoro e la miseria crescente, si è comunque in presenza di sistemi economici che traggono la loro capacità di riprodursi attraverso l'estrazione del profitto e la divisione di classe.
Lo sviluppo diseguale del sistema capitalistico mondiale crea conflitti per la spartizione dei dei mercati mondiali e dei profitti,  da qui la guerra con tutte le sue conseguenze destabilizzanti. Anche in questi casi non siamo in presenza di una schematica divisione "Nord - Sud", ma di un ruolo dialettico dei processi di sviluppo capitalistici. Siamo cioè in presenza di fenomeni intrecciati e complessi; il livello di sviluppo che, ad esempio, caratterizza l'attuale fase del capitalismo in Italia non è univoco, ma è a sua volta diviso in aree forti ed aree deboli, in centri e periferie, in aree urbane ed extraurbane, in metropoli e aree rurali. Nelle aree economicamente più avanzate e “ricche” sono evidentissime e diffuse tutte le caratteristiche tipiche del sottosviluppo (analfabetismo, povertà, mortalità infantile, disgregazione di classe, criminalità diffusa, sistematica devastazione del territorio). Il proletariato dei paesi più arretrati è generalmente immiserito non perché la fetta maggiore della torta finisce per essere scippata dai paesi ricchi, ma perché è un proletariato giovane, inserito in aree economiche deboli e decadute storicamente. In dette aree la contraddizione esistente tra capitale e lavoro non è mediata da rilevanti conquiste operaie, ed i livelli di organizzazione sindacale si realizzano in condizioni difficilissime (clandestinità, repressione, mancanza di mezzi, ecc.). È ben vero che il capitalista tende a compensare le eccedenze salariali percepite dai lavoratori in occidente con uno sfruttamento sistematico del proletariato dei paesi più poveri  e tramite la delocalizzazione industriale, ma per non cadere nel terzomondismo populista è necessario non limitarsi alla piatta considerazione dei fenomeni. Il capitale, per riprodursi, ha bisogno di accumulare profitti; per questo tende a sfruttare il più possibile sia i mezzi di produzione sia la forza lavoro umana: l'organizzazione scientifica del lavoro non è altro che l'organizzazione del lavoro in presenza di fasi avanzate dello scontro di classe. Da un punto di vista del plusvalore e della produttività del lavoro risulta essere maggiormente sfruttato un operaio della FIAT perché in grado di produrre maggiore ricchezza in quanto inserito in un assetto produttivo più razionale ed efficiente, che non un lavoratore del terzo mondo la cui attività lavorativa si svolge in una organizzazione produttiva arretrata. Ciò non deve scandalizzare per due fondamentali motivi:

  1. "la lotta di classe è al tempo stesso messa in crisi del profitto e del comando capitalistico ed anche elemento costante di cambiamento, di trasformazione, e di sviluppo del capitale in quanto lo costringe, per rispondere all'attacco, a ristrutturarsi in fabbrica e sul territorio a mutare organizzazione del lavoro e processi produttivi..." (UCAT – Unione dei Comunisti Anarchici della Toscana: “I Comunisti Anarchici e l'Organizzazione di Massa”  edizioni CP editrice – Firenze 1984, pag. 3).
  2. Non bisogna confondere la parola "sfruttamento" con la parola "miseria". La classe lavoratrice nei paesi capitalistici non è al riparo dai grandi processi di ristrutturazione che ne peggiorano, in alcuni casi gravemente, le condizioni di vita e di lavoro. Le vicende recenti del movimento operaio USA, che si sono realizzate con l'impoverimento d'intere aree geografiche travolte dalla ristrutturazione industriale, sono eloquenti circa la condizione dei lavoratori nelle società a capitalismo avanzato.

Coscienza di classe, unità e organizzazione
È necessario superare l'epidermide dei fenomeni per indagare nel profondo dei rapporti di produzione; un lavoratore non è sfruttato in assoluto ma lo sfruttamento avviene all’interno dei rapporti di produzione nei quali egli è inserito. Nel sistema capitalistico, così come si manifesta nei paesi "ricchi", i lavoratori sono sfruttati in modo scientifico: lottando hanno strappato conquiste che hanno migliorato non poco le loro condizioni di vita e di lavoro ma, contemporaneamente, senza queste conquiste il capitalismo non sarebbe stato in grado di realizzare i suoi processi di espansione e di stabilizzazione (si pensi al New Deal negli USA ed al ruolo della socialdemocrazia in occidente). La democrazia borghese ed il riformismo corrispondono quindi a fasi evolute del processo di produzione capitalistico, fasi che, comunque non risparmiano crisi anche profonde. Viceversa, nei paesi più arretrati i lavoratori sono in una condizione di immiserimento, ma ciò dipende dai livelli dello sviluppo capitalistico e non certo dall'avidità della classe lavoratrice dei paesi capitalistici.
Rimane infine da analizzare il problema della scarsa sensibilità che la classe lavoratrice manifesta nei confronti dell'inquinamento e dei drammi del sottosviluppo.  Quest'ultimo è un aspetto fondamentale che però riguarda la sfera dei livelli di consapevolezza, invero molto bassi, che i lavoratori esprimono nell'occidente capitalistico. La radicalizzazione rivoluzionaria segue e non precede lo sviluppo della coscienza di classe. La sinistra sembra avere dimenticato, tra un ammiccamento neoliberale e l'altro, che la lotta per una società che intenda abolire lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, in altre parole la lotta per il comunismo, è soprattutto una lotta per lo sviluppo della coscienza di classe. È bene, allora, dire chiaramente che tale coscienza non è surrogabile né improvvisabile. Una classe forte è una classe solidale e internazionalista, mentre una classe debole e divisa è esposta ai ricatti, alla svendita dei propri ideali e all'immiserimento culturale. Non dobbiamo dimenticare, poiché Bakunin lo ha chiaramente affermato, che lo sviluppo della coscienza di classe non è automatico e non nascerà, ma dipende dall'azione della minoranza agente e quindi dall'organizzazione politica. Che tale processo dipenda poi da molte altre cause e circostanze (fase favorevole, organizzazione di massa, crescenti livelli di unità di classe anche con settori non necessariamente provenienti dal mondo del lavoro, ecc.), è certamente vero, ma senza l'azione organica e determinata dell'organizzazione politica, la coscienza di classe stenta a decollare. La lotta salariale, non disgiunta da quella complessiva per il miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita del proletariato rappresenta la molla per lo sviluppo dell'unità e della coscienza di classe.
Tutti noi sappiamo quanto sia essenziale saldare la lotta per la difesa degli interessi immediati dei lavoratori con quella per il perseguimento dei loro interessi storici, saldare cioè la lotta economica con la lotta politica. I processi di produzione nella loro estensione e complessità travalicano gli ambiti meramente produttivi per investire il territorio, la cultura ed ogni altro aspetto del vivere sociale: in questo contesto  gli interessi dei lavoratori non si difendono più con la lotta sindacale canonicamente condotta “fabbrica per fabbrica”. È necessario, per superare l'isolamento, che i lavoratori inizino a farsi carico delle grandi contraddizioni proprie dell'attuale fase dello sviluppo capitalistico. Solo loro, d'altronde, possono farlo efficacemente, vale a dire con qualche speranza di vittoria, poiché per le predette ragioni solo la classe lavoratrice rappresenta l'unica classe universale e realmente alternativa al capitalismo. Attorno ad essa può e deve svilupparsi quel processo di unità che la classe operaia industriale, da sola, è riuscita a realizzare solo episodicamente. Ciò rimanda ad un rapporto strettissimo e determinante con i movimenti di massa, con la loro composizione sociale, con le loro contraddizioni, con le loro tematiche e con gli obiettivi che essi perseguono. Se questo rapporto non si verificherà, la classe lavoratrice sarà privata dei ponti necessari per aprirsi verso un sistema di contraddizioni capitalistiche che, come la crisi ambientale, i problemi relativi al sottosviluppo da cui conseguono i flussi migratori,  impongono di affermare il punto di vista internazionalista nella concreta realtà dei fatti determinati: i grandi mali che attualmente affliggono il mondo derivano dall'attuale modello di produzione capitalistico che sacrifica la vita reale, l'ambiente e le libertà, alla profitto, alla sua accumulazione e alla sua cultura.
Alcune indicazioni d’intervento
È quindi necessario superare il capitalismo: ciò non vuol dire assumere una visione attendista, anzi è necessario lottare contro tutte le sue storture, cercando di strappare vittorie anche parziali, che comunque indeboliscono il capitale e rafforzano l'opposizione di classe. Senza il ruolo dei lavoratori, i movimenti di massa, privi di una alternativa strutturalmente anticapitalistica, sono destinati nel medio periodo e nel migliore dei casi, a divenire la copertura dei settori progressisti dello schieramento borghese, permettendo al capitalismo di crescere e prosperare. Vi è poi un altro motivo per rilanciare lo scontro di classe nei paesi capitalistici, quello cioè che una equa distribuzione della ricchezza può avvenire solo laddove essa si produce: in altre parole la costruzione comunista della società potrà svilupparsi solo laddove sarà possibile socializzare la ricchezza. La ripresa dello scontro di classe, in grado di aggredire, logorare ed indebolire il capitalismo nei paesi così detti "ricchi" e, quindi, di limitarne l’espansione imperialista, è l'unica reale speranza di liberazione dei popoli più arretrati.
Abbiamo visto come il ruolo politico dei movimenti di massa non possa essere concepito separatamente da quello svolto dalla classe lavoratrice; sarebbe però un grave errore trascurarne l'importanza, ciò perché la nostra presenza deve articolarsi laddove si sviluppano le contraddizioni del sistema capitalistico. I movimenti di massa sono un fondamentale elemento di accesso a settori altrimenti difficilmente raggiungibili; settori molto importanti quali ad esempio gli studenti ed in generale i giovani, che dimostrano talvolta di intraprendere un deciso ritorno alla politica, anche se attraverso vie non tradizionali e, soprattutto, fuori dalle ingerenze dei partiti politici della sinistra parlamentare e massimalista. L'autonomia dei movimenti di massa deve essere quindi colta nella sua concretezza: essa cioè non deve essere concepita alla stregua dell'autonomia della classe lavoratrice dal capitale, semplicemente perché i movimenti di massa non hanno fisionomia di classe in quanto aggregazioni sociali trasversali e tendenzialmente interclassiste. L'intervento in queste realtà non deve quindi essere mirato a sviluppare una impossibile autonomia, ma bensì volgersi alla ricerca di tutti gli elementi, e sono molti, che possono collegare i movimenti alla classe lavoratrice e, in generale al moderno proletariato. Tale rapporto, che deve essere impostato, è un rapporto profondamente dialettico, perché anche i lavoratori hanno molto da imparare dai movimenti di massa e dalle tematiche che essi esprimono.  Si consideri al riguardo il movimento femminista (oggi sarebbe più corretto parlare di movimento di emancipazione della donna nel quale il movimento femminista ha rappresentato una fase particolare del suo lungo sviluppo), le cui tematiche non si riconnettono direttamente alle origini e ai livelli di coscienza della classe lavoratrice che nella pratica della vita quotidiana hanno tirato e continuano a tirare talvolta in senso contrario. Così è che sempre più spesso le tematiche enunciate nei convegni e nelle piazze non vengono assolutamente tradotte nei contratti di lavoro, che sempre più spesso si dimostrano inadeguati a difendere gli interessi delle lavoratrici. D’altronde anche i vertici sindacali riformisti, che a parole dichiarano di recepire alcune particolari obiettivi, quali il blocco o la sostanziale limitazione al lavoro notturno delle donne, finiscono per accettare la logica capitalistica dello sfruttamento della  forza lavoro femminile in virtù dell’incremento della produttività per consentire la crescita e il rilancio dell’economia nazionale.
Ciò accade anche rispetto a tematiche quali la pace e l'ecologia: si pensi, al riguardo, alla produzione bellica ed inquinante, alla devastazione territoriale ed al coinvolgimento attivo in questi processi dei vertici sindacali riformisti e a quello anche culturale dei lavoratori in base al ricatto occupazionale. Quindi la contraddizione classe lavoratrice - movimenti di massa esiste concretamente ed è tangibile. Se tale contraddizione non viene colta, e vi sono tutti i sintomi affinché ciò continui a verificarsi, avremo come prima conseguenza una sorta di antagonismo tra lavoratori e movimenti di massa che rafforzerà il capitale. È ben vero, però, che i movimenti di massa, privi di referenti strutturali rischiano di rifluire verso i lidi tipici dei movimenti di opinione, le cui tematiche, come in parte già accade, sono neutralizzate e rese funzionali al processo di ristrutturazione capitalistico, diventandone la copertura progressista.
Ma non ostante i processi di ristrutturazione internazionale e le accresciute capacità di contenimento delle economie moderne le  crisi continueranno e con esse le guerre, l'inquinamento, lo sfruttamento, la miseria e l’oppressione dei deboli:  abbiamo e continueremo ad avere, però, un capitalismo maggiormente allenato a presentare queste degenerazioni  e a farle accettare nella loro sostanza, realizzando così un diffuso consenso. Difendere gli interessi dei lavoratori significa, da un punto di vista sindacale, realizzare le premesse che riescano a frenare l'attacco capitalistico, strappando vittorie certamente parziali, ma in grado di rafforzare lo sviluppo dell'unità e della coscienza dell’intero moderno proletariato. In questo processo, necessariamente lento, è compresa non solo la lotta economica, ma anche quel passo, quella ulteriore forzatura politica che i militanti rivoluzionari devono essere in grado di imprimere ai fenomeni. L'apertura della classe lavoratrice alle tematiche dei movimenti di massa non si realizzerà quindi tramite un'opera di convincimento, bensì attraverso progressive conquiste. I contratti di lavoro sono al riguardo uno strumento  fondamentale, così come la vertenzialità e la contrattazione di secondo livello che, nel pubblico e nel privato, dovrà aprirsi ai territori, laddove è essenziale che si inizi a riprendere tutte quelle tematiche relative alla salute sul lavoro ed alla sua umanizzazione che il “produttivismo” e lo “sviluppismo” riformista hanno deliberatamente abbandonato, così come sono da riconsiderare tutte quelle tematiche del lavoro che hanno una proiezione pratica sulla vita quotidiana (tempo libero, specificità femminile, problemi relativi allo specifico giovanile, urbanistica, qualità della vita ecc.), realizzando su queste tematiche collegamenti con i movimenti di massa presenti sul territorio.   Anche i gravi problemi relativi all'industria degli armamenti e più in generale alle produzioni nocive, devono essere al centro di un simile intervento, con la consapevolezza che la salute del capitalismo si basa appunto sulla produzione di morte. Sono quindi da condannare tutte quelle posizioni che pretenderebbero di pianificare lo sviluppo capitalistico proponendo improbabili concertazioni tra forze sociali con patti decennali e politiche dei redditi, che svendono gli interessi dei lavoratori e la qualità della loro vita, assimilando storiche conquiste sociali a costi aggiuntivi gravanti sul lavoro, ipotecando così il futuro dei giovani. Da questo punto di vista il tentativo di indebolire il contratto collettivo nazionale di lavoro quale strumento fondamentale per la difesa degli interessi dei lavoratori è da respingere con estrema chiarezza ed energia: al riguardo, contemporaneamente al necessario argine da porre all’attacco padronale si dovrà contrastare anche la deriva riformista e la sua subalternità al capitale, esigendo un rafforzamento del livello contrattuale nazionale poiché solo con una struttura contrattuale nazionale forte sarà possibile strappare, rilanciando nella contrattazione di secondo livello, conquiste tali da qualificare ancor più il contratto nazionale, rafforzando così nei territori quelle unità produttive dove i rapporti di forza non consentono contrattazioni integrative stabili efficaci (circa l’80% delle imprese).
Il capitalismo non è riformabile, perciò se ne può solo limitare gli effetti nefasti; allora sono da incrementare tutte quelle tematiche in grado di complicare l'espansione capitalistica. Alla necessaria denuncia delle produzioni di morte ed inquinanti deve seguire una proposta concreta in grado di unire i lavoratori, evitando di spostarli dalla parte dei padroni sulla base della legittima esigenza della difesa del posto di lavoro. Al riguardo l'estensione della cassa integrazione ai lavoratori coinvolti in processi di riconversione potrebbe essere una proposta praticabile. Ciò implica comunque una riconsiderazione delle previdenze che fino ad oggi sono state usate ad esclusivo vantaggio dei processi di ristrutturazione capitalistica anche in presenza di crisi.
Il perseguimento di questi obiettivi sindacali, unito all’intervento della minoranza agente nei movimenti di massa con tutta la sua passione e creatività, potrà contribuire a saldare questi ultimi con le lotte del moderno proletariato per come si sta faticosamente configurando in tutto il mondo. Gli effetti di questa auspicata e benefica unità potrebbero assumere nel tempo livelli di una straordinaria efficacia.


Giugno 2008
Giulio Angeli